6 agosto 1945, pochi minuti dopo le 8 del mattino, 44 secondi dopo lo sgancio dal bombardiere B29 solitario “Enola Gay”,
che vola senza protezione oltre i novemila metri d’altezza: esplode, per decisione del presidente degli Stati Uniti Harry Truman, la prima delle due bombe atomiche destinate a cambiare per sempre la politica mondiale. Il 6 agosto 1945, Hiroshima, città portuale del Giappone, veniva devastata dall’attacco nucleare: “Little Boy”, il “bambino”, esplode a un’altezza predeterminata di 580 metri con una potenza pari a circa 15 chilotoni, direttamente sopra l’ospedale cittadino a causa di un lieve errore di puntamento rispetto al bersaglio, il ponte Aioi. È una bomba molto inefficiente: meno del 2 per cento della sua potenza si trasforma in energia (la drammatica esplosione di Beirut ha riproposto la potenza che gli esplosivi trattengono in sé), ma non è quello che allora conta. Il “bambino” distrugge totalmente tutto ciò che sta in un raggio di un chilometro e mezzo di città dall’esplosione e ne incendia 11 chilometri quadrati. Muoiono, immediatamente, più di 60mila persone: nei mesi successivi, a causa del fallout radioattivo, fenomeno mai verificatosi in precedenza su una popolazione umana e che i medici giapponesi inizieranno tragicamente a conoscere bene, il numero salirà rapidamente a 100mila. Il Giappone è in ginocchio, ma la macchina da guerra messa in moto dalla decisione di Truman non si ferma: il 9 agosto, tocca a Nagasaki, dove cade, nel secondo esperimento da laboratorio bellico, il “grassone”, “Fat Man”